mercoledì 26 maggio 2010

a quick one

«Siediti» mi disse, poi si sedette di fronte a me. «Ho una cosa da dirti, e non ti piacerà per niente. Ma devo dirtela perché abbiamo costruito il nostro rapporto sulla fiducia reciproca, e sarebbe sbagliato ora da parte mia tacere. Sappi che per me è difficilissimo, e sono consapevole dei rischi che corro a confessarti una cosa di una tale gravità, tuttavia sento di non potermela tenere dentro oltre, o scoppierò.» I suoi occhi si arrossarono, poi proseguì: «Al solo pensarci mi sento così meschina, così stupida. Tu sei sempre strato buono con me, mi hai dato tutto il tuo amore e non mi hai mai chiesto niente in cambio, ed ora io prendo i tuoi sentimenti e li getto al vento, come se non fossero mai contati niente. Ma tu non devi pensare che quel che c'è fra noi non sia speciale: lo è, ma certe persone sono così fragili... e talvolta commettono errori imperdonabili, offendendo chi non lo meriterebbe mai.»
La fissai un poco aspettando che continuasse, ma dato che taceva singhiozzando la incalzai freddo. «Dunque smetti di farla lunga, cosa devi dirmi?»
Quando strinse le palpebre un fiotto di lacrime percorse rapido le guance rosse, poi disse flebilmente: «Non far finta di nulla, hai già capito tutto.»
«Certo che ho capito» risposi «ma vorrei che tu avessi il coraggio di confessarlo.»
Deglutì. 
«Ti ho tradito.» 
Ci fu una lunga pausa, durante la quale lei continuò a guardare per terra, dopodiché alzò gli occhi e mi guardò istupidita: «Perché sorridi? Che motivo ne hai?» disse incredula «Non mi sgridi? Non ti arrabbi nemmeno? Non sei furioso?»
«Non ne avrei motivo» replicai.
«Come sarebbe?» chiese sempre più sconvolta.
«Sapevo sin dall'inizio che l'avresti fatto, prima o poi.»
«Ma come? Significa che non ti sei mai fidato di me?» mi domandò impietrita.
«Neanche per un secondo.» Il mio ghigno si apriva sempre di più.
«Ma allora che significa? Sei felice di sapere che avevi ragione?» mi chiese lei. Era visibilmente indecisa se restare preda del senso di colpa o indossare audacemente la maschera dell'accusatore.
«Felice di sapere che avevo ragione? Questo secondo te dovrebbe farmi sorridere?» Domandai divertito.
«E allora spiegati!» gridò lei «smetti di torturarmi!»
Mi alzai lentamente e raccolsi la giacca che avevo appesa dietro la sedia, la indossai lentamente e mi volsi verso di lei, mi avvicinai al suo volto, scostai una ciocca dei suoi bei capelli dal suo orecchio destro e le sussurrai: «Di questi cinque anni durante i quali siamo stati insieme, non uno è passato senza che io andassi a letto ogni mese con due o tre donne diverse.»
I suoi occhi sgranati mi osservarono andarmene ancora sorridente.

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