lunedì 18 gennaio 2010

Antigone

Lui disse che si sentiva una sensazione dentro, io gli risposi: «giusto», poi spinsi il jack nell'amplificatore finché sentii il familiare clack, alzai il volume ed urlai forte fino a tre. Non fu come le altre volte perché stavo pensando ad altro, stavo cercando dentro di me una risposta nel momento peggiore per farlo, col sudore che gocciolava sempre più fastidioso fin dentro il colletto della camicia e le luci colorate che mi accecavano; stavo cercando qualcosa che non avrei trovato neanche in un momento di lucida calma. La mia risposta sarebbe nata infelice perché orfana di una domanda: ogni risposta meriterebbe di avere una domanda, ma la mia -  poveretta - non la aveva, e cosa peggiore continuava a nascondersi.
Quando tutto finì vidi davanti a me solo il microfono: ciò che stava dietro rimase acido e indistinguibile finché non misi a fuoco il pubblico che urlava ed applaudiva, come posseduto dall'odore di birra e dai decibel che andavano smarrendosi lungo le pareti del grande capannone. D'un tratto mi guardai attorno ed in quel sudore, nei decibel e nelle urla trovai la risposta, anche se ancora non riuscivo a capire quale fosse la questione. Forse la domanda nemmeno la possedevo io, forse stava in qualche libro di storia o in una tragedia greca, forse aveva la forma di una resa dei conti del passato col presente, della ricerca di una coerenza e di una via unica e limpida, la forma di una legge sulla cui natura doversi interrogare. Avrei voluto essere come Antigone, avrei voluto preferire la certezza di tutto (lei era certa delle proprie ragioni quanto della propria sorte) piuttosto che l'ebbrezza dolente di una ansiosa ricerca. Forse allora non seppi neanche se la risposta che avevo trovato quella volta fosse stata quella giusta.


«Raggio del sole,
tu che sei la luce più bella
fra quante mai sfolgorarono
su Tebe setteporte,
finalmente hai brillato,
occhio del giorno dorato,
levandoti sulle correnti dircèe»

martedì 12 gennaio 2010

riding on city buses for a hobby is sad

Non era una bella giornata. Era di nuovo il capolinea della linea 2 in un'umida ed appiccicaticcia serata invernale, il prossimo giro magari avrebbe potuto farlo sul 5 o sul 13: non ci saliva già da diversi giorni e d'altronde non aveva niente da fare. Non aveva mai niente da fare. Quella sera però mentre scendeva i loro sguardi si incrociarono per sbaglio, lei sorrise e lui si sentì felice, per un secondo. Lo sportello del bus si chiuse pesantemente dietro di lui, i suoi occhi seguirono veloci la gonna di lei che se ne andava. «Ti amo» le disse, ma le sue labbra rimasero incollate e non uscì neanche una nuvoletta di fumo.
Infine scelse il numero 13, non era una bella giornata.

P.S.: grazie Stuart Murdoch

domenica 3 gennaio 2010

l'ora di filosofia

[da Behind Blue Prat del 17.11.2009]

Si alza e si volta, si avvicina lentamente al letto e sorride al micio, lo spalma sul plaid e gli regala un paio di carezze ben somministrate, ne ride. Poi torna al computer e pensa che, sì, potrebbe anche scrivere qualcosa dopo tanto tempo, anche se gli manca l’impulso (ma d’altronde non è forse questa l’essenza di un esperimento?). 
L’ora di filosofia a scuola quel giorno era particolarmente soffocante: fuori era già maggio e il prof continuava ad urlare qualcosa su Hegel che gran parte della classe aveva già rinunciato a capire da un pezzo. Il prof non urlava per rabbia, il prof urlava e basta, era la sua appassionata maniera di fare lezione; non era così irritante come può sembrare. La lezione gli importava poco, ma faceva finta di farsela importare, tanto avrà pur dovuto starci a fare qualcosa, in classe. Il protagonista, dico, non il prof. Lui, il protagonista, faceva pendolare il suo sguardo in maniera abbastanza regolare dalle trifore che imprigionavano la primavera al di fuori del palazzo fino ai capelli castano scuri di lei, un po’ trastullandosi, un po’ giocando a speculare sulla fantascienza che il suo cervello elaborava di minuto in minuto, e che lui caparbiamente si ostinava a vedere come il proprio futuro immediato. Naturalmente, una volta finito Hegel e tutti i suoi guai con la propria coscienza a proposito della Rivoluzione Francese, non si sarebbe verificata nessuna delle scene idilliache che gli rimbalzavano gaudenti dal cervelletto alla zona temporale, ma lui era riuscito perfettamente nella non facile impresa di sottostimare ampiamente questa considerazione. Quella giornata, invero, terminò tale e quale a tante altre, non che questo fosse un male, si capisce, ma non era e non fu quello il punto. Il punto è, e lo scopre voltandosi di nuovo verso il micio, attirato irresistibilmente dal manto argenteo, che né quella volta, né quelle altre tante volte, si ricordò di aver mai avuto nemmeno il vago sentore di quali strade la sua vita avrebbe preso nel futuro lontano e neppure in quello prossimo. Questo lo fa ridere un po’, e un po’ lo fa anche sentire superiore a tutti quelli – ce ne sono tanti, e anche all’epoca ce n’erano tanti – che sprecano metà del loro tempo utile a progettare e a pensare a cosa diventeranno da grandi, o anche solo tra qualche anno.
E un po’ invece lo rende triste, pensare di essere come una foglia secca che galleggia su una pigra pozzanghera, senza la minima idea di che cosa fare una volta che l’acqua si sia asciugata.

we are golden

Inarcò non troppo vistosamente il sopracciglio destro, poi chiese pacatamente: «Invidioso del golden boy, io? Giusto un poco, forse, ma soltanto per alcuni motivi contingenti e niente affatto per ragioni strutturali, se capisci quel che intendo. D'altronde di cosa dovrei essere invidioso? Lui sarà pure più bello, ma io sono molto più intelligente, ho avuto ed ho una vita sociale più interessante della sua, non fumo e non mi sono mai drogato. Sono di certo migliore di lui nell'esercizio delle arti liberali (le quali sono di gran lunga il miglior cibo dell'anima) e so comporre: lui non ci riuscirebbe neanche con Paul Simon che gli suggerisce da dietro le spalle. Non sono opportunista, gretto ed egoista quanto lui, dico meno bugie e faccio a meno di scuse; ho persino imparato a non cercare altri colpevoli all'infuori di me medesimo, per quanto riguardi le sventure della vita. Sono umorale ed indaffarato come lo siamo tutti, ma questo non mi impedisce l'adempimento dei miei doveri, specie quelli morali.»
«È astio quello che provi?» gli domandai. Mi rispose di no. «Solo dispiacere, poiché gli voglio bene».

sabato 2 gennaio 2010

primo

Credo di non avere foto del giorno del mio compleanno da anni. Il primo giorno di questi anni dieci - il mio primo compleanno di questo nuovo decennio - ne ho una: rappresenta l'Arno di notte, in piena.