sabato 11 giugno 2011

la vita è fatta male

Cara Elena,

«Ho avuto poco tempo e l'ho impiegato male». Comincio a credere che sia questo quello che si pensa più frequentemente quando perdiamo qualcuno che amiamo. Naturalmente il tuo caso non conta, non ho avuto nemmeno il tempo di conoscerti, e la trasmissione a me del tuo ricordo è stata affidata ad un paio di foto e racconti brevi come istantanee. È una sensazione inspiegabile, come di infinita nostalgia per un posto nel quale sai di non poter mai più tornare. Perché le persone sono come luoghi da visitare, e forse che non suonerebbe strano sapere di non poter più visitare una città, poiché essa non esiste più?
Mia cara Elena, non è come ho sentito dire da una vecchietta, che la vita è «fatta male», in un vano quanto maldestro tentativo consolatorio. Il fatto che la vita abbia un termine è invece un magnifico sprone a renderla degna di essere percorsa, un incoraggiamento a non sprecare mai nemmeno una possibilità, assaporare ogni secondo, persino gli attimi pregni del più profondo dolore (che più di ogni altra sensazione ci ricorda che siamo ancora vivi). 
Non so come hai vissuto tu, conosco soltanto la maniera in cui te ne sei andata, ma qualcosa mi dice che eri del mio stesso avviso, buon sangue non mente. È per questo che ho scritto a te ed a nessun altro, perché il volto dipinto in una di quelle due foto mi ha suggerito che saresti stata l'unica a capire davvero.
Ti abbraccio.

Tuo,
Riccardo

sabato 9 aprile 2011

Golden Sun

Questa era una canzone che mi piaceva molto. Spero di poterla arrangiare e suonare, prima o poi.

Golden Sun 
(Piaggi/Pratesi)

Standing on the edge of nowhere
Looking out to see
What is on TV tonight
Trying hard to breathe

Cleaning out my black old pocket
Looking in to see
How many dimes I’ve lost on lunches
However, I don’t care

Passing through the life of
Too many people to believe
That a boy can be
What they say he cannot be

Only to show this world a brand new sun
Only to show myself this brand new stuff
And that’s me
That’s my golden sun
That’s me
My forget-me-not

Learning more than ever seeing
People showing off grins
I hope you will not be like them
At least a bit less weak

Oh, you know that love begins
When we’re unprepared
But we don’t have the right to
Find a reason to complain

Passing through my life you
Left my pride completely bare
Tell me now what should I say
And what should I not share

Only to show this world a brand new sun
Only to show myself this brand new stuff
And that’s me
That’s my golden sun
That’s me
My forget-me-not

solo

Riding faster than the rain
That’s falling down
Screaming louder than the train
That comes this way
It’s ok, I do it

Only to show this world a brand new sun
Only to show myself this brand new stuff
And that’s me
That’s my golden sun
That’s me
My forget-me-not

That’s me
That’s my golden sun
That’s me
My forget-me-not

lunedì 23 agosto 2010

i tetti arancioni di Malá Strana

Dette un ultimo sguardo alla cattedrale di San Vito, maestosa nelle sue contorte forme gotiche, poi attraversò velocemente la piazza verso l'estremità di Hradčany, in direzione dei giardini. Si appoggiò ad un muretto e trasse un grande sospiro, si voltò solo un secondo ad ammirare ancora il castello, poi lentamente lasciò che i suoi occhi si abbandonassero al grande spettacolo del tramonto di Praga. La Moldava luccicava d'argento sotto di lui, poteva distinguere il grandioso Ponte Carlo che l'attraversava e poco più in là Staré Město, la Città Vecchia, con la sua famosa piazza dell'orologio. Chiuse le palpebre e stette ad ascoltare il battito del proprio cuore per quasi un minuto, concedendosi una pausa per provare a rimettere in moto il cervello, il quale reagì prontamente. Pensò che Praga era esattamente come la ricordava, che era una città strabiliante, e che anche se le aveva sempre preferito Vienna (perché si respirava più aria d'impero, diceva sempre), uno spettacolo di quel genere era capace di rimettere al mondo un morto. Pensò alla prima volta che c'era stato, poi rifletté sul momento presente, e dall'associazione delle due idee nacque una frase che riaffiorò come un ricordo polveroso, una di quelle cose stucchevoli che i genitori dicono spesso ai figli in momenti di difficoltà: «Ricorda che mamma e papà ci saranno sempre per te». «Cretinate» pensò, ed un amaro sorriso ironico gli sporcò l'espressione serena. Strinse la cinghia della sua borsa a tracolla e si voltò, appoggiandosi al muricciolo con la schiena e gettando gli occhi castani verso il cielo. L'accorgersi della smorfia sardonica che lo strano ricordo gli aveva appiccicato in volto lo condusse su un terreno mentale minato, un cimitero di considerazioni che riteneva inutili, e che - naturalmente - adorava fare, rifare e ripercorrere. Dato che, per quanto detestasse ammetterlo, possedeva un animo banalmente romantico, ripensò per prima cosa ai grandi amori passati, li passò in rassegna uno ad uno, ordinando mentalmente in categorie quelli che ancora frequentava, quelli di cui aveva perso completamente le tracce e quelli che ormai si erano addirittura sposati, e che quindi andavano classificati in una maniera del tutto particolare. Una volta estratte tutte le foto dai cassetti dentro la sua testa rimirò quella distesa di riccioli, di occhi e capelli chiari e scuri, di sorrisi smaglianti e labbra socchiuse, si soffermò su un paio di istantanee e poi rimise tutto a posto, con la pignoleria che qualcuno gli aveva sempre rimproverato per scherzo.
Mentre il suo sguardo divorava pigramente i tetti arancioni del Piccolo Quartiere giunse il turno del capitolo più interessante, ma si tolse la preoccupazione più in fretta di quanto lui stesso si fosse aspettato. Stava iniziando ad inventariare anche il folto e problematico archivio degli amici, ma ad un tratto si guardò intorno, e coltosi nel mezzo della capitale boema unicamente in compagnia di se stesso pensò che se era arrivato fin lassù da solo un motivo doveva pur esserci. Ricordò velocemente due o tre figure importanti della sua vita passata, gente che aveva significato molto e gente che aveva avuto l'arrogante pretesa o l'illusione di essere importante per lui, e che ovviamente non aveva mai capito niente. Era un percorso abitudinario dei suoi pensieri, essi lo avevano ripetuto ossessivamente per mesi, anni quasi, come la strada che un operaio percorre tutte le mattine sbadigliando e tutte le sere con le ossa rotte, ogni giorno uguale e senza sorprese, strozzata in una routine mortale. Per mesi, anni quasi, si era considerato tradito da chi lo aveva abbandonato e a cui lui non aveva mai avuto il coraggio di augurare niente di diverso che tutto il meglio della vita, anche quando aveva dovuto subire le pugnalate di confidenze frustranti. Non ho niente per cui rimanere, «io sono niente, allora?». Per mesi, anni quasi, aveva quasi potuto sentire il sapore zuccheroso del sentirsi incredibilmente superiore a chi credeva di esserselo fatto amico, che millantava legami ed affinità costruite a tavolino, salvo perdersi poi in premature crisi di mezza età, cercare di riscriversi un'adolescenza mai vissuta a colpi di stupidaggini e vizietti da liceali brufolosi, rovesciare su di lui e sul mondo circostante quintali di ipocrisia e mostrargli i lati peggiori dell'italiano medio, ordinati come fossero elaboratissime tracklist di dischi compilati da un genio dell'antropologia.
Questo turbine passò in pochi istanti, perché il tempo aveva fatto egregiamente il suo dovere a proposito di tutte le preoccupazioni, ed ora voleva solo godersi un ritorno atteso per anni. Gli serviva Praga per chiudere finalmente un capitolo che solo lui (una volta tanto) per anni aveva potuto comprendere fino in fondo, di cui raramente, controvoglia e mai in modo esauriente aveva raccontato a chi gli stava attorno, e che rappresentava un tassello mancante per gli altri per capire tanti piccoli misteri della sua vita, dal perché non parlasse quasi mai del padre al perché non si fidasse mai completamente di nessuno, dal perché digerisse male gli U2 al perché non avesse mai preso la patente fino a qualche mese prima di quel viaggio. Non aveva mai trovato nessuno all'altezza di venir messo a parte di quel complicato tassello mancante, ed in quel momento si accorse che la cosa gli piaceva, era felice di aver tenuto per sé una storia così fondamentale.
Quando il sole lentamente scomparve si accorse che per la prima volta non aveva più paura di pensare alla fine del viaggio, voleva solo goderne. Si incamminò lentamente verso i vicoli di Malá Strana, Praga era esattamente come la ricordava, anzi meglio.

mercoledì 26 maggio 2010

a quick one

«Siediti» mi disse, poi si sedette di fronte a me. «Ho una cosa da dirti, e non ti piacerà per niente. Ma devo dirtela perché abbiamo costruito il nostro rapporto sulla fiducia reciproca, e sarebbe sbagliato ora da parte mia tacere. Sappi che per me è difficilissimo, e sono consapevole dei rischi che corro a confessarti una cosa di una tale gravità, tuttavia sento di non potermela tenere dentro oltre, o scoppierò.» I suoi occhi si arrossarono, poi proseguì: «Al solo pensarci mi sento così meschina, così stupida. Tu sei sempre strato buono con me, mi hai dato tutto il tuo amore e non mi hai mai chiesto niente in cambio, ed ora io prendo i tuoi sentimenti e li getto al vento, come se non fossero mai contati niente. Ma tu non devi pensare che quel che c'è fra noi non sia speciale: lo è, ma certe persone sono così fragili... e talvolta commettono errori imperdonabili, offendendo chi non lo meriterebbe mai.»
La fissai un poco aspettando che continuasse, ma dato che taceva singhiozzando la incalzai freddo. «Dunque smetti di farla lunga, cosa devi dirmi?»
Quando strinse le palpebre un fiotto di lacrime percorse rapido le guance rosse, poi disse flebilmente: «Non far finta di nulla, hai già capito tutto.»
«Certo che ho capito» risposi «ma vorrei che tu avessi il coraggio di confessarlo.»
Deglutì. 
«Ti ho tradito.» 
Ci fu una lunga pausa, durante la quale lei continuò a guardare per terra, dopodiché alzò gli occhi e mi guardò istupidita: «Perché sorridi? Che motivo ne hai?» disse incredula «Non mi sgridi? Non ti arrabbi nemmeno? Non sei furioso?»
«Non ne avrei motivo» replicai.
«Come sarebbe?» chiese sempre più sconvolta.
«Sapevo sin dall'inizio che l'avresti fatto, prima o poi.»
«Ma come? Significa che non ti sei mai fidato di me?» mi domandò impietrita.
«Neanche per un secondo.» Il mio ghigno si apriva sempre di più.
«Ma allora che significa? Sei felice di sapere che avevi ragione?» mi chiese lei. Era visibilmente indecisa se restare preda del senso di colpa o indossare audacemente la maschera dell'accusatore.
«Felice di sapere che avevo ragione? Questo secondo te dovrebbe farmi sorridere?» Domandai divertito.
«E allora spiegati!» gridò lei «smetti di torturarmi!»
Mi alzai lentamente e raccolsi la giacca che avevo appesa dietro la sedia, la indossai lentamente e mi volsi verso di lei, mi avvicinai al suo volto, scostai una ciocca dei suoi bei capelli dal suo orecchio destro e le sussurrai: «Di questi cinque anni durante i quali siamo stati insieme, non uno è passato senza che io andassi a letto ogni mese con due o tre donne diverse.»
I suoi occhi sgranati mi osservarono andarmene ancora sorridente.

mercoledì 3 marzo 2010

nella mia vita

Che foto meravigliose conservo! Che immagini stupende sono impresse nella mia mente, e quanto tempo è passato da quei volti sorridenti, da quando ero più magro e avevo meno pensieri. Riguardarle tutte sta diventando ogni volta più impegnativo perché ogni volta si aggiunge un anno, e un anno può contenere milioni di immagini. Mano a mano che le ordinatissime cartelle dei mesi si susseguono aumenta il prezzo che pagherei per rivivere uno di quei momenti specialissimi, uno di quegli attimi incredibilmente leggeri e soavi (o così sembrano). Darei sempre di più dopo ogni foto che vedo, dopo ogni ricciolo e dopo ogni scottatura, chitarra e scollatura, albero innevato, parco, salotto, barca e panchina, persino dopo ogni foto di Firenze. 
Ci sono persone e luoghi che non scorderò mai, anche se qualcosa è cambiato. Qualcuno per sempre, e non in meglio, eppure di quanto mi priverei per tornare indietro ed assaporare ancora il colore di periodi della mia vita così complicatamente chiaroscurali da sembrarmi arte. Si scavalcano e si accalcano uno sull'altro, gli affreschi, si spingono e si mescolano frettolosi, come se dovessero fare a gara per chi dovrà aggiudicarsi il primo premio nella voglia di nostalgia che ho stanotte. Capitano alcune foto che mi rendono fiero di essere vivo, che mi strappano espressioni acrobatiche da tanto si tengono in equilibrio tra il riso e la commozione. Speciali: queste persone sono state tutte speciali.
Eppure ad un certo punto della serie di immagini e bozzetti di vita arrivi tu. Ed è allora che questi ricordi perdono il loro senso, o più semplicemente, perde di senso la voglia di raggiungerli e riabbracciarli ad ogni costo. Ogni cosa si spoglia del proprio significato per vestirne uno nuovo, se ci sei tu.



There are places I remember
All my life, though some have changed
Some forever not for better
Some have gone and some remain
All these places had their moments
With lovers and friends
I still can recall
Some are dead and some are living
In my life I've loved them all


But of all these friends and lovers
there is no one compares with you
And these memories lose their meaning
When I think of love as something new
Though I know I'll never lose affection
For people and things that went before
I know I'll often stop and think about them
In my life I love you more

giovedì 11 febbraio 2010

money can't buy me love

Noi siamo contro il consumismo sfrenato delle festività tipiche del capitalismo più barbaro, tipo San Valentino. Noi rifuggiamo un concetto di amore che si misuri sulla base del denaro e della mera materialità, non è vero tesoro?

Tesoro?

Dove sei?

lunedì 8 febbraio 2010

you belong with me

Sogno il giorno in cui ti sveglierai e capirai
Che tutto ciò che stai cercando è sempre stato qua

Se solo potessi vedere che sono l'unica che ti comprende
Sono sempre stata qui, allora perché non capisci?
Il tuo posto è insieme a me


Ascolto questa canzoncina e mi dico che non capirò mai fino in fondo se quello che provo nei confronti del fanciullesco romanticismo degli americani sia stizza o invidia; sono un popolo rimasto talmente ancorato alle proprie radici ottocentesche da averle sublimate, trasformate in un vero e proprio stile di vita, una gigantesca lente rosa attraverso la quale riescono a vedere il mondo anche nei momenti peggiori. Ma non sta qui il punto. Il punto è che questa lente è per loro il filtro della realtà quotidiana, la quale si trasforma in un gigantesco serbatoio di struggenti love stories a lieto fine, buoni sentimenti a profusione e commoventi racconti di anatroccoli che diventano cigni sul palcoscenico di una high school o di un college. Di certo hanno imparato bene il mestiere e sanno su cosa fare perno per colpire l'attenzione della gente, per guadagnare il più possibile dalle facili emozioni di storie che parlano di teenager e primi baci, ma non basta. Non sono del tutto convinto che il dio denaro dica l'ultima parola anche su questo: quella di fondo rimane una questione culturale. E allora è probabilmente per questo che noi cupi e riflessivi (ma soprattutto snob) europei cediamo spesso alla loro naïveté mascherata da stucchevole banalità. Forse ogni tanto anche a noi piace vedere il mondo più rosa.